L’attenzione del mondo intero all’individuazione di un criterio di tassazione dell’economia digitale è stata confermata anche dall’ultimo G20 tenutosi ad Osaka nel giugno 2019. La ragione è molto semplice. L’attuale architettura del diritto tributario internazionale fa si che gli operatori del settore, specie quelli maggiori, danno luogo ad uno “Stateless income” – cioè un reddito apolide –
La ricerca entra nel merito delle soluzioni proposte. Vengono, così, esaminate le ipotesi di modifica della definizione della stabile organizzazione considerata la non fisicità dell’economia digitale. Le conclusioni, però, non appaiono del tutto incoraggianti. Viene, poi, esaminata la creazione di una asistematica web tax, intesa a trovare una soluzione che, ancorché parziale, abbia il merito di essere almeno comune fra gli Stati Comunitari. Anche in questo caso le difficoltà non mancano e una forte collaborazione interstatuale è messa in luce come indispensabile. che in quanto tale non risulta tassato da nessuna parte. Si potrebbe intervenire aggiornando il concetto di stabile organizzazione (tesi prevalente) o creando una atipica web tax (strada su cui si è mossa anche la Commissione UE). Ma la domanda è se questa tipologia di interventi possa davvero portare al risultato voluto: che non è la persecuzione dell’economia digitale ma il puro e semplice riequilibrio fra settori che pagano le imposte sul reddito e settori – com’è oggi l’economia digitale – che semplicemente, ancorché legittimamente, ad esse si sottraggono del tutto.
Esistono certo altre soluzioni. Ma tutte richiedono un grande sforzo di convergenza che al momento, al di là delle dichiarazioni di intento, non pare aver fatto significativi passi avanti.