Il primo Rapporto dell’Osservatorio Patrimonio Culturale Privato, presentato nell’autunno scorso, non si è limitato a fotografare gli effetti della pandemia sulla filiera produttiva e sulla rete sociale che ruota attorno alle dimore storiche, ma, per la prima volta, ha delineato e mappato quello che in tale occasione è stato definito “il museo diffuso” delle dimore storiche private italiane. Un museo diffuso in tutte le regioni e in tutte le realtà territoriali, anche le più piccole, che non compete ma anzi si integra con l’offerta culturale italiana nel suo complesso. I dati emersi parlano di oltre 45 milioni di visitatori nell’anno precedente la pandemia, un numero di poco inferiore a quello delle visite effettuate in tutti i musei italiani, contribuendo per il 48% anche agli introiti complessivi del comparto.
Quest’anno, nello spirito di accompagnare la ripresa e la resilienza del paese, il secondo Rapporto si concentra proprio sulle potenzialità insite in questo variegato e parcellizzato universo di dimore storiche. Potenzialità che si esprimono non solo nella confermata ripresa delle principali attività tipiche degli immobili storici, che oltre alla visite si articolano nell’organizzazione di eventi, nell’accoglienza, la ristorazione, la produzione vitivinicola e altre attività agricole, ma anche nell’accompagnamento alla transizione ecologica e digitale, con focus sull’economia circolare, sul sostegno all’inclusione sociale, sul risparmio energetico, sulla digitalizzazione dei servizi, sull’emersione di nuove competenze.
Potenzialità che rischiano tuttavia di rimanere inespresse se le stesse non saranno accompagnate da un lato dal concreto coinvolgimento di questo universo nelle sfide lanciate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e che vedono il patrimonio culturale privato potenzialmente attore di numerosi interventi previsti dalle Missioni dello stesso e dall’altro da una rivisitazione e riforma di alcune norme che ostacolano questo processo, alcune delle quali già segnalate nel primo Rapporto. Questioni alle quali la Legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178) non ha offerto risposta. Quest’anno, il focus del secondo Rapporto è sull’impresa sociale societaria e la sua potenzialità nel settore per quanto evidenziato in tema di sostegno alle politiche di inclusione e sul ruolo delle dimore storiche soprattutto nelle piccole comunità, sulla circolazione dei beni immobili vincolati e la prelazione artistica.
Termometro di questa ripresa “con il freno a mano tirato” sono i dati, presentati nel Rapporto, relativi alle spese sostenute dai proprietari delle dimore storiche per gli interventi di manutenzione ordinari e straordinari nel corso degli anni, a partire dal 2005, cioè prima dell’avvento della crisi finanziaria del 2007-2008 e successiva recessione. I trend indicano un “affaticamento” del settore, prevalentemente rappresentato da gestioni familiari che si sono dovute confrontare ora anche con l’emergenza pandemica, come ben rappresentato nel primo Rapporto. Il valore assoluto tuttavia (1,3 miliardi di euro tra spese ordinarie e straordinarie nel 2021) ricorda come la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale privato italiano rappresenti ancora un importante volano economico per l’economia locale e per il mantenimento delle numerose competenze e professionalità del mercato del lavoro di riferimento.
La rilevata contrazione degli investimenti non è da ricondurre solo ad una riduzione delle risorse ma anche ad una oggettiva difficoltà ad accedere a incentivi e bonus che non tengono conto delle specificità delle dimore storiche, sia di natura architettonica che strutturale, che amministrativa. Un’indagine dell’Osservatorio Patrimonio Culturale Privato in corso, che sarà presentata in occasione del Rapporto in programma per il prossimo anno, dimostrerà come la possibilità di riconoscere agli investimenti nel settore culturale privato un effettivo contributo alla realizzazione di taluni obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 offrirà alla finanza sostenibile interessanti sbocchi, se semplificate le procedure di investimento per la valorizzazione del bene. Nel solo anno 2019, infatti, sono stati messi a disposizione in Italia per investimenti sostenibili 31 miliardi di euro (Assogestioni), mentre si stima che l’intero portafoglio del 2020 abbia superato gli 80 miliardi di euro (ESG News).